La maternità tra stereotipi e falsi miti.
La nascita di un figlio rappresenta all’interno del ciclo di vita famigliare uno dei periodi maggiormente caratterizzati da profondi cambiamenti. Infatti per la maggior parte dei neo-genitori questa fase viene descritta come lo sconvolgimento più grande che abbiano mai provato. I sentimenti e le emozioni che essi provano sono per lo più positivi, e vanno dalla gioia, amore, euforia, affetto, piacere. Allo stesso tempo però la coppia si ritrova a doversi confrontare con nuovi ritmi, una diversa routine quotidiana, centrata ora sulla cura del figlio, e tutto ciò richiede una grande resistenza fisica ed emotiva.
Non dovrebbe quindi stupire che i novelli genitori possano incontrare delle difficoltà.
Purtroppo però nella società contemporanea la maternità viene vista come il momento più bello della vita di una donna, durante il quale la mamma deve essere felice per forza. I luoghi comuni hanno dipinto la maternità come una condizione ideale in cui la donna è pienamente soddisfatta dal figlio, ma in realtà il quadro è molto più complesso.
Gli stereotipi culturali
L’aspetto che viene messo meno in risalto, e ciò che non viene pubblicizzato dai mass media o trasmesso dagli stereotipi culturali è che diventare madre e padre non è solo un periodo esaltante, ma anche frustrante, e stancante, con tante difficoltà da dover gestire e superare.
Innanzitutto occorre prendere in considerazione che dopo i nove mesi di gravidanza, durante i quali, nella maggior parte dei casi (ma non sempre!) la donna vive con profonda soddisfazione l’inestricabile unione con il figlio, lo scenario cambia al momento del parto. Le madri, dopo aver affrontato il travaglio e parto, vivono il grande incontro con il proprio figlio, che oltre ad un momento di profonda gioia significa anche dover rinunciare all’immagine del bambino idealizzato, frutto delle fantasie materne strutturate nel corso della gravidanza, ed iniziare a relazionarsi col bambino reale.
Reazioni emotive post-partum
Dopo il parto, poi, accanto ai sentimenti di felicità ci possono essere problemi da risolvere, preoccupazioni per la salute della madre o del bambino. Inoltre possono presentarsi difficoltà nel prendersi cura di un figlio che piange molto, o che dorme poco, cresce poco, o nel gestire eventuali gelosie dei fratelli. Queste comuni situazioni sono in grado di provocare reazioni di aggressività e di insofferenza nei genitori facendoli sentire disfatti, impotenti, incompetenti.
Tali reazioni emotive sono generalmente momentanee, ma spesso non riconosciute e accettate dalla madre e dall’ambiente di vita.
Considerare la maternità tenendo conto anche di tali aspetti è di fondamentale importanza, perchè aiuta le mamme ed i papà ad avere aspettative realistiche riguardo ai loro nuovi ruoli e nuovi stili di vita, e possono essere così maggiormente predisposti a far fronte ai normali cambiamenti psicofisiologici e ambientali che si verificano durante il passaggio verso la genitorialità, e a superare la fisiologica crisi che la trasformazione da coppia a famigli
a comporta.
Aspettative idealizzate dopo la nascita del bambino
Al contrario basarsi su aspettative idealizzate porta a profondi stati di ansia, frustrazione, rabbia, sfiducia, insoddisfazione, stati depressivi.
Tali aspettative idealizzate consistono spesso in pensieri e convinzioni poco realistici quali ad esempio: “le donne in gravidanza sono sempre felici”, “sarò sempre felice di essere madre”, “essere madre non interferirà con il mio lavoro, con il mio rapporto di coppia”, “la mia vita non cambierà”, “le brave madri non provano mai sentimenti negativi nei confronti del proprio figlio”, “tutte le altre madri se la cavano benissimo”. I padri possono essere invece convinti che “la mia relazione di coppia si rafforzerà essendo ora divenuti una famiglia”, “avere un bambino non cambierà in alcun modo la mia vita”, “la mia vita sessuale non cambierà” “avrò lo stesso tempo per il lavoro ed i miei hobbies”, ” sarà la mia partner ad occuparsi del figlio”. Credere in tali convinzioni porta il neo genitore a biasimare se stesso, ad essere riluttante nel cercare aiuto, a temere di essere giudicato come inadeguato e quindi non in grado di prendersi cura del proprio figlio.
Cosa è la Depressione Post-partum
La depressione post- partum è un quadro psicopatologico invalidante, inserito nel DSM IV-TR, come un caso particolare del Disturbo Depressivo Maggiore, il cui esordio si colloca entro il primo mese (secondo altri autori l’esordio può collocarsi entro i primi 3 mesi), e colpisce circa il 15 % delle donne. Nella depressione post natale si osservano molti sintomi che riguardano sia la sfera fisica, sia la sfera cognitiva.
Essi sono:
umore depresso per la maggior parte della giornata, tristezza, pianto incontrollato, sentirsi prive di valore, ansia e attacchi di panico, sensi di colpa, auto-biasimo, preoccupazioni eccessive per la propria salute e quella del figlio, mancanza di energia, sensazione di essere esausta, eloquio e movimenti rallentati, stati di agitazione e iperattività, perdita di interesse in varie attività compresa quella sessuale, senso di irritazione, disturbi dell’appetito, diminuzione della capacità di concentrazione e di prendere decisioni, dimenticane e confusione mentale, senso di inadeguatezza, disperazione e pensieri costantemente pessimisti, pensieri di morte e suicidari.
Per diagnosticare la depressione post-parto devono essere presenti diversi sintomi, e tale presenza deve causare evidenti effetti peggiorativi sul funzionamento della persona, compromissione della vita quotidiana (lavoro, studio, hobby) isolamento sociale.
Da un punto di vista clinico, occorre differenziarla da altri quadri clinici, quali il “baby blues” o “maternity blues”, e la “psicosi post-parto”.
Baby blues o maternity blues
La baby blues è estremamente diffusa e venne descritta per la prima volta da D. Winnicott nel 1965. Rappresenta un disturbo dell’umore di lieve entità, non implicante conseguenze psicologiche a lungo termine ed in genere con una remissione completa e spontanea entro le prime due settimane dopo il parto. è causata principalmente dalle modificazioni ormonali successive al parto, dalla stanchezza dopo il travaglio, e dalla necessità di riprendersi dalle conseguenze di un cesareo.
I sintomi si manifestano entro pochi giorni dopo la nascita del bambino: crisi di pianto, paure e preoccupazioni eccessive, tristezza, labilità dell’umore, stanchezza, disturbi del sonno e dell’appetito. L’incidenza di questo disturbo oscillerebbe tra il 30 e l’85 %. La notevole diffusione del baby blues suggerisce pertanto un adattamento psicofisico fisiologico agli importanti cambiamenti che intervengono nella vita di una donna quando diventa madre. Tuttavia sarebbe importante poter identificare le donne con baby blues poichè il 20% dei casi è a rischio di evolvere in un episodio depressivo maggiore nel primo anno dopo il parto.
Psicosi post parto
La psicosi post parto è un quadro raro e grave, che insorge in modo improvviso entro i primi due mesi dal parto e comporta sintomi quali grave stato di agitazione e confusione, gravi alterazioni dell’umore, perdita di contatto con la realtà (allucinazione e deliri).
Le cause della depressione:
Non vi è una causa specifica capace di spiegare l’insorgenza della depressione postnatale, ma è necessario comprenderne l’origine.
L’origine della depressione postnatale
l’origine occorre prendere in considerazione diversi elementi e la loro interazione:
fattori biologico-genetici: riguardano cambiamenti nella regolazione dei neurotrasmettitori, e presenza di disturbi depressivi in parenti di primo grado.
fattori psicosociali: Persone che hanno scarsa stima di sè, presentano pensieri pessimisti e temono di non essere in grado di controllare se stesse o di saper interagire in modo funzionale con l’ambiente sono maggiormente a rischio di depressione. Generalmente gli episodi di depressione sono preceduti da eventi molto stressanti rispetto i quali queste persone sentono e pensano di non poter fronteggiare. Quindi occorre sottolineare che tali fattori non causano direttamente la depressione, ma è l’atteggiamento della persona nell’affrontarli che è di rpimaria importanza.Gli eventi stressanti possono riguardare cambiamenti nelle relazioni o nel nucleo familiare (divorzi, morte di un parente, cambiamento di casa, trasferimento di città), eventi correlati alla salute, eventi correlati al lavoro.
Fattori di rischio che possono favorire lo sviluppo di una depressione postnatale
fattori di rischio: si tratta di eventi e circostanze che possono favorire lo sviluppo di una depressione postnatale. Si suddividono in: fattori collegati alla situazione familiare, sociale e culturale (aver già sofferto di episodi depressivi in passato, traumi infantili, storia passata di abuso fisico o sessuale, modello educativo familiare inadeguato, basso livello socio-economico, mancanza di una relazione sentimentale soddisfacente, mancanza di sostegno da parte dell’ambiente di vita); fattori che riguardano specificatamente la gravidanza (gravidanza inaspettata e non desiderata, complicanze durante la gravidanza o in seguito al parto per la madre e/o il figlio, nascita pre-termine,problemi di salute del bimbo, avere a che fare con un bambino difficile); fattori legati alla maternità e al ruolo materno (fatica ad adattarsi al nuovo ruolo di madre, personalità rigida caratterizzata da un forte bisogno di ordine, controllo e perfezionismo, idee sulla maternità ed aspettative non congrue con la realtà)
Come superare la depressione postnatale:
Innanzitutto il primo passo verso la risalita consiste nel chiedere aiuto a dei professionisti. Per fare questo passo occorre non vergognarsi, ricordarsi che si tratta di una condizione comune a tante donne, e sopratutto è fondamentale pensare che avere un problema non significa essere una cattiva madre. Infatti sentirsi in colpa, chiudersi, criticarsi non aiuta, al contrario potrebbe creare un circolo vizioso da cui poi è difficile uscire.
Generalmente la depressione viene efficacemente trattata attraverso un approccio integrato che prevede sia l’uso di farmaci, sia l’intervento psicoterapeutico.
Possono essere utili diversi tipi interventi che prevedono la terapia psicologica individuale, oppure quella di coppia o gli incontri di gruppo.
Il modello Levani
Levani (et.al) propone un modello di intervento teorizzato da Milgrom J. e collaboratori, che si basa su teorie cognitivo-comportamentali. Il percorso dura massimo 25 settimane, e dopo una prima fase di valutazione della sintomatologia, della personalità e della situazione generale, si passa ad una seconda fase di intervento, “trattamento attivo”. Questa seconda fase prevede l’apprendimento di tecniche comportamentali (cosa fare e cosa non fare), e tecniche cognitive centrate sulla modificazione di pensieri disfunzionali. Alla fine del percorso poi è prevista una fase di follow-up, con lo scopo di monitorare la capacità della persona di mettere autonomamente in pratica i comportamenti appresi.
Il modello Ammaniti
Ammaniti invece pone l’accento sulla efficacia della “home visiting”.
L’home visiting consiste in un tipo di intervento di sostegno alla genitorialità finalizzato a prevenire e ridurre gli effetti della depressione materna, a sostenere la madre e a ridurre il rischio di una insorgenza psicopatologica infantile.
La letteratura ha dimostrato infatti che la visita domiciliare di operatrici sono utili a prevenire stati di trascuratezza dei bambini sia nelle famiglie ad rischio psicosociale, sia in condizioni di maternità a rischio depressivo.
L’attenzione è posta principalmente nei bisogni della coppia madre-figlio, e specificatamente mira a: sostenere lo sviluppo del bambino, di migliorare le competenze genitoriali, promuovendo e favorendo la costruzione e lo sviluppo di relazioni positive tra care-giver e bambino; aiutare il genitore ad adattare il proprio comportamento allo sviluppo del bambino e facilitare la loro relazione; aumentare la capacità di osservazione materna, attivare le sue capacità di comunicazione e di ascolto del bambino, rafforzare l’autostima della madre, valorizzare le sue risorse; aiutare le madri a capire meglio i bisogni del figlio attraverso i segnali emotivi e i comportamenti che mette in atto e le comunica (sorrisi, differenti tipologie di pianto, vocalizzazioni e postura, ecc.); promuovere e sostenere l’auto-efficacia della madre focalizzandosi su piccoli obiettivi, che possono essere raggiunti durante lo stesso incontro, fornire un sostegno per l’allattamento e per i primi bisogni del neonato, ritenendo che ciò possa contribuire ad aumentare la fiducia materna nella capacità di affrontare sfide più grandi.
Bibliografia
Bibliografia: American Psychiatric Association, (2000), DSM IV TR, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, Washington (DC), trad.it. (2001) “DSM IV TR, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali”, Milano Masson Ammaniti M., Cimino S., Trentini C., (2007), “Quando le madri non sono felici. La depressione post partum”, Roma, Il Pensiero Scientifico Editore Ammaniti M.,Speranza A.M., Tambelli R., Odorisio F., Vismara L., (2007), “Sostegno alla genitorialità nelle madri a rischio: valutazione di un modello di assistenza domiciliare sullo sviluppo della prima infanzia”, Infanzia e Adolescenza, Vol 6, N.2 Leveni D., Morosini P., Piacentini D., (2009), “Mamme tristi, vincere la depressione post parto”, Trento, Edizioni Erickson Milgrom J., Martin P.R., Negri L.M. (2003), “Depressione postnatale”, Trento, Edizioni Erickson
Alessandra Violi Ferrari Psicologa
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